Venditti & De Gregori il concerto
A grande richiesta, dopo l’estate, il tour proseguirà anche nei principali teatri d’Italia.
Chi si aspetta una rimpatriata fra due ex compagni di scuola degli anni 70 rischia di restare deluso: Francesco De Gregori e Antonello Venditti prendono saldamente in mano le redini di una trentina di canzoni scritte nell’arco di 5 decenni per scaraventarle con pieno diritto nella scena di oggi. Chiamatelo pop, chiamatelo rock, chiamatelo canzone d’autore, quello che si ascolta è il concerto di due artisti che poco si curano dell’anagrafe e della nostalgia ma che sono immersi nel senso e nel suono del nostro tempo, vuoi per i testi che hanno scritto, sempre attuali, vuoi per l’energia musicale che producono grazie ad una band muscolare perfettamente amalgamata.
Partirono in due ed erano abbastanza, la scaletta non fa sconti: dopo Bomba non bomba, che apre il concerto, Antonello e Francesco continuano ad incrociare di volta in volta sciabola o fioretto per cantare a due voci della Leva calcistica della classe ’68 e di un calcio di
rigore forse sbagliato, e della Storia che siamo noi, di altre storie Fantastiche come la vita e
di Bufalo Bill e del Segno dei Pesci. E sotto lo zodiaco sterminato di due repertori incredibili
questi due sembrano due musicisti di strada che si ritrovano (con due anni di ritardo causa COVID)a suonare per più di 40.000 persone nella calda notte romana.
La potenza del concerto è lì, in quelle canzoni che almeno una volta nella vita sono state cantate da tutti e che stasera tutti cantano sulle gradinate e in platea. E soprattutto nelle voci dei due vecchi soci che si mescolano, si contrastano, scherzano. E così viene fuori un suono che stupisce, che prima non c’era: prima forse era solo di Antonello o solo di Francesco ma da stasera è roba di tutti e due, bene comune, come ai tempi di Theorius Campus, il loro primo ed unico album registrato dalla IT di Vincenzo Micocci a pochi passi da qui, e che vendette pochissimo ma segnò un’epoca.
E loro due, che sembrano saperlo bene, si muovono sul palco come antichi complici tornati a
consacrare il luogo del delitto.

Dopo Dolce Signora che bruci, riproposta con il semplice accompagnamento di una chitarra
acustica come agli inizi della loro carriera nel 1972, Francesco e Antonello si prendono anche il lusso di cantare ognuno per conto proprio una manciata di pezzi per brevità definiti classici: Alice, Sara, Notte prima degli esami, Santa Lucia per poi incontrarsi nuovamente sul palco e tirare fuori dal cappello un’emozionante rilettura di Canzone, omaggio al vecchio e mai dimenticato amico Lucio Dalla.
Poi di nuovo Pablo (con una strizzatina d’occhio ai Pink Floyd di “Shine on you crazy diamond”),Unica, La donna cannone (con la voce di Antonello che fa volare alto l’inciso) fino al viaggio del Titanic verso Questo mondo di ladri.
Dicevamo l’attualità: nel pubblico i diversamente giovani e gli over 40 si mischiano a molti giovani e giovanissimi. Magari perché in queste canzoni così lontane e così vicine troviamo molte delle domande e delle risposte di oggi. E non parliamo solo di Generale, fin troppo citata in questi ultimi tempi, ma anche dei pezzi più “leggeri” passati a suo tempo velocemente per radio e che qui stasera assumono nuova consistenza e nuova complessità. Ci potremmo chiedere come mai dopo tanto tempo queste canzoni siano così amate e radicate nel cuore di tutti e la risposta crediamo che sia tutta nelle voci dei due, così credibili e appassionate, nelle loro biografie parallele e convergenti. Lì sta probabilmente il segreto di una longevità che miracolosamente è ancora ben stretta nelle mani di chissà quale misteriosa giovinezza.
E dopo più di due ore e mezzo, dopo la maestosa Roma Capoccia, è già tempo di bis: i falegnami e i filosofi allucinati de Il vestito del violinista cedono il passo alla tenerezza e allo struggimento di Ricordati di me, poi Viva l’Italia e tutti a casa con Buonanotte Fiorellino (allo Stadio Olimpico di Roma, immancabilmente, Grazie Roma).
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